Quando desideri entrare a casa di un conoscente, che sia un parente o un amico, bussi alla porta, suoni il citofono o il campanello. E immagino che tu ti assicuri che la tua visita sia cosa gradita e non improvvisa, magari fai una telefonata per avvisare del tuo arrivo… Questo accade perché hai rispetto degli spazi altrui, ne riconosci i confini e non li valichi senza il permesso di chi li abita.
Perché, dunque, dovrebbe essere diverso con un bosco o un luogo naturale?
Anche quegli ambienti posseggono confini, regole, limiti e padroni di casa, anche se non sono come li concepirebbe la nostra umana mentalità. Boschi, radure, montagne, praterie hanno una loro logica che sfugge alle nostre menti razionali, ma questo non ci giustifica a non rispettarla.
Ci sono luoghi che non vogliono essere visitati, che non amano presenze esterne. Esistono pieghe della natura che si richiudono in se stesse perché hanno bisogno di ricucire ferite invisibili, di guarire energie sottili che noi avvertiamo solo in rari casi… Eppure ci arroghiamo spesso il diritto di volere e potere arrivare ovunque, anche dove non saremmo ben accetti.
E’ possibile riconoscere questi tratti di foresta o di natura, anche se servono occhi attenti e cuore aperto. Ma, prima di dirti come fare, ti racconto due aneddoti in cui potresti ritrovarti; potrebbe essere capitato anche a te di vivere esperienze simili alle mie, ma forse non vi avevi mai prestato attenzione prima. Sono qui anche per questo: per farti vedere ciò che prima era invisibile, celato sotto la coltre dell’inconsapevolezza.
Grovigli e temporali
Tempo fa lavoravo a un altro blog con una carissima amica. Avevamo scritto un articolo su un tratto di bosco molto particolare, sul quale aleggiano leggende da brivido e superstizioni niente male. Si tratta di un luogo incastonato in un vallone, cupo, tetro, aggrovigliato, dove anche certi animali faticherebbero a entrare. Si vocifera che lì, secoli fa, siano accaduti eventi di grande violenza, qualcuno dice sia abitato da spiriti poco amichevoli, altri giurano di aver visto delle luci salire da quegli alberi in certe notti… Be’, necessitavamo di qualche foto di quel nugolo di rami, e così mi recai sul posto con la reflex. Allora non conoscevo tutte le dicerie che si raccontavano al riguardo e non avevo ancora maturato la sensibilità che ho acquisito col tempo, ero una semplice visitatrice desiderosa di trarre qualche scatto a uno scampolo di mondo che mi incuriosiva, carico di mistero, come piace a me.
Ebbene, la sensazione, scesa dall’auto, era quella di avere mille occhi puntati contro, e giuro che la mia non fosse suggestione. Nel folto degli alberi non si poteva entrare, la vegetazione era troppo fitta, troppo intricata. E allora ho goduto del tutto dalla striscia di nero asfalto che vi correva nel mezzo, scattando qualche foto di tanto in tanto.
Era una calda giornata di agosto, non limpida, ma non minacciava di certo pioggia. Dopo circa dieci minuti dal mio arrivo, si è scatenato un temporale piuttosto violento, con grandine e tuoni minacciosi. Il cambiamento del meteo è stato così improvviso e repentino che mi sarei infradiciata, se non mi fossi rifugiata in una galleria. All’entrata e all’uscita del mio riparo scorrevano due cascate d’acqua e soffiava un’aria fredda, ben poco accogliente.
Lasciai spiovere e me ne tornai in auto con ben poche foto nella reflex, ma con un’inequivocabile certezza nel cuore: quel luogo non voleva essere disturbato e io avevo recepito il messaggio.
Strani rumori
La scorsa estate mi sono decisa a visitare un luogo sacro immerso nella macchia. Si trattava di un posto suggestivo, da quel che avevo sentito dire, intriso di tradizioni e storia. Ancora una volta, presi l’auto e mi misi in marcia. Arrivata a un certo punto, però, trovai una grossa frana che mi impediva di proseguire su quattro ruote, ma non a piedi… così abbandonai la macchina sullo sterrato e proseguii con le mie gambe. La strada per giungere all’antico luogo di culto era ancora lunga e a ogni curva incontravo frane, alberi crollati, detriti… e ogni volta li scavalcavo e proseguivo.
Arrivare sembrava diventata un’impresa impossibile, ma alla fine riuscii. Ricordo ancora la sensazione sgradevole e inspiegabile che provai. Eppure il luogo era descritto come ameno e pacifico, non mi sarei certo aspettata una simile accoglienza.
Anche in questo caso, mi sentii osservata. Visitai il luogo di preghiera con una sensazione di urgenza nel petto, aumentata da strani ticchettii concitati che udivo nelle vicinanze, anche se non riuscivo a identificarne la fonte. Ogni volta che mi voltavo per capire cosa li provocasse, il ticchettio si interrompeva, per poi incalzare di nuovo e sempre di più. Ancora oggi non so cosa fosse, non dico sia stato qualcosa di soprannaturale, ma di certo so che l’energia del luogo non fosse amichevole. Me ne andai, ma le sensazioni che avevo provato restarono con me ancora per un po’.
Tiriamo le somme
Con queste mie parole ed esperienze non voglio farti credere che io sia superstiziosa o credulona. Ma ho sperimentato sulla mia pelle una cosa che ognuno di noi può aver avvertito almeno una volta nella vita, senza darle alcun peso: l’energia dei luoghi.
E, dunque, tornando all’argomento iniziale di questo mio articolo, mi sono chiesta perché non ascoltiamo quel nostro prezioso sesto senso, quando si accende in noi. Lo minimizziamo, scambiandolo per paranoia, quando in verità gli dovremmo molto, perché ci riconnette alla nostra natura selvatica, quella che abbiamo ereditato dal nostro essere animali. E’ un fiuto infallibile, che non ci abbandona e attende solo di essere risvegliato, nutrito e assecondato.
Oltre all’intuito, però, ci sono altri modi per capire in anticipo se un bosco o un luogo naturale non desiderino la nostra presenza. Nel caso delle esperienze personali che vi ho riportato, l’intrico impenetrabile di rami, le frane, gli alberi crollati, i detriti e il tempo atmosferico sono stati dei chiari sintomi di un luogo che non voleva contaminazioni.
Osservare le forme di ciò che ci circonda, quando siamo in natura, è utile a riconoscere e rispettare le energie che la abitano. Alberi che creano fitte giungle, per esempio, non possono essere un chiaro sintomo di apertura… Piante ritorte su loro stesse o persino dall’aspetto sgradevole possono fungere da veri guardiani del bosco e paiono volerci allontanare da un angolo che non ha bisogno della nostra energia, non la vuole, la respinge. Una volta, in una delle tante passeggiate, mi sono imbattuta in un tratto di foresta in cui gli alberi erano bassi e con i rami sviluppati in orizzontale in modo esagerato. Erano spogli, pur essendo luglio, e parevano guerrieri che impugnavano delle lance, tenendole dritte davanti a loro in posizione di attacco. Cosa trasmetteva quel tratto di foresta? Il desiderio di non essere disturbato, e io lo rispettai.
Non è fantasia né fervida immaginazione, la mia, ma allenamento all’osservazione di un ambiente in cui so di essere visitatrice, non padrona di casa.
Per questo motivo, quando mi accingo a entrare in un luogo naturale, sia esso un bosco, un prato o un sentiero di montagna, mi presento alle energie che lo abitano, “busso” all’uscio della loro casa, chiedo il permesso di camminare sulle radici degli alberi… E, forse, è anche per questo che dalla natura ricevo molto, quando la attraverso. Un po’ come quando, giunta in visita a casa di volti familiari, mi vengono offerti té, pasticcini e un mare di sorrisi.
Mel
Ogni anno, quando giunge questo periodo, l’umanità sale in groppa a un destriero pronto a traghettarla da un ciclo vecchio a uno nuovo. E ogni anno il viaggio che coinvolge tutti noi comincia dall’8 dicembre per concludersi il 6 gennaio, quando il cavallo s’arresta dopo aver esaurito il suo sacro compito.
Queste due date segnano l’inizio e la fine di un vero e proprio corridoio energetico, ricco di esperienze, ricorrenze e rituali che abbiamo dimenticato, ma che possiamo sempre recuperare per fare nostre le vibrazioni importanti del momento, attraversandolo con consapevolezza.
Senza saperlo, infatti, perdiamo molto lungo la strada, poiché siamo stati educati dalla nostra cultura e dalla società che questo mese, scandito da due feste a connotazione femminile (l’Immacolata Concezione e l’Epifania), sia da dedicare alle spese sfrenate e ai pranzi sfarzosi, ignorando ciò che di bello e importante accade dentro e intorno a noi.
Al di là del credo di ognuno, è possibile vivere questo periodo dell’anno con la sacralità che merita – e che meritiamo in quanto emanazioni divine noi stessi. Solo che non la conosciamo. E allora addentriamoci nella trasformazione alchemica che ci aspetta, proviamo a conoscerla, ad assaporarla e a farla nostra, poiché a lungo andare, se vissuta intenzionalmente, potrà fare davvero la differenza nelle nostre vite.
L’inizio del viaggio: l’Immacolata Concezione.
Come ogni iniziazione che si rispetti, il nostro viaggio eroico comincia con una purificazione. L’8 dicembre, giorno che in tutta l’antichità era preposto alla Madre Terra e alla sua integrità, ci racconta dell’unione tra l’energia maschile e quella femminile, tra quella celeste e quella terrestre. Due energie pure che entrano in contatto senza contaminarsi per dare vita a un essere nuovo. E dentro di noi, in questa data così sentita da tutta la cristianità, avviene questa stessa unione tra le nostre polarità opposte, questo concepimento: quello degli esseri che potremmo diventare, se ponessimo attenzione e ci abbandonassimo al particolare timbro energetico di questo momento.
Lungi dall’essere una festa riguardante la mera verginità per come la intendiamo oggi, l’Immacolata Concezione ci parla del seme divino che alberga in noi, puro, incontaminato, santo. Un seme che tutti possediamo: cristiani, pagani, buddhisti, islamici… l’Universo non fa differenza riguardo le etichette umane che poniamo su noi stessi, siamo tutti suoi figli, sue emanazioni. Quella scintilla, quel chicco di santità che abbiamo dentro, è integro e completo, proprio come lo furono Anna e Maria della tradizione cristiana, ma anche le antiche dee pagane, emanazioni della Grande Madre preistorica, e infatti è una giornata che incarna l’archetipo della Vergine, oltre a quello della Madre. E così dovremmo imparare a considerare noi stessi: integri, completi, accesi di quel fuoco sacro che è la Creazione. Questo era un giorno in cui l’antichità celebrava dee vergini dal grande potere e attuava rituali per purificare e benedire le acque e i fuochi. Quale invito migliore, dunque, per purificare e benedire le nostre acque interne, sia fisicamente che spiritualmente? Dopotutto è in quel nostro grembo che rinascerà il Sole Bambino, dunque questa ricorrenza ci ricorda l’importanza del ripulirsi da ciò che è vecchio e stantio, di prepararsi alla nascita che verrà, in vista della prossima soglia da attraversare…
La Soglia: il buio e la luce di Santa Lucia
Col sopraggiungere del 13 dicembre, ecco arrivare un’altra sacra ricorrenza che indossa vesti femminili. Si tratta di un giorno dalle valenze esoteriche ed energetiche ricche e importanti, un varco al di là del quale saremo catapultati definitivamente in una dimensione altra, dalla quale non si torna indietro. A Santa Lucia il buio regna sovrano e ci ricorda quanto lunghe possano essere le ombre che ci portiamo dentro. Ci consente di guardarle in faccia, di gustarle e sentirle stridere nelle orecchie… Eppure, in mezzo alla cupa oscurità di questo Inverno che sta per arrivare, la santa viene celebrata nella Luce, davanti alla fiamma baluginante delle candele.
Mancano 12 giorni al Natale. 12 come le notti che lo seguiranno e che hanno valenze simboliche degne d’essere esplorate. 12 come il numero assegnato al mese di dicembre e che rappresenta il compimento di un ciclo (Per saperne di più, leggi l’articolo “Dicembre“). Santa Lucia, dunque, è speculare all’Epifania: mentre quest’ultima rappresenta l’Anziana, coi suoi abiti logori e sfilacciati, la santa è giovane, regale con la sua testa cinta da una corona di bianche candele. Lei è l’archetipo della Madre, è colei che porta in grembo il Sole Bambino, lo nutre, lo attende. E se le 12 Notti Sante che seguono il Natale rappresentano la ricchezza e l’abbondanza dei doni, i 12 giorni che lo precedono sono invece discesa, introspezione, esplorazione dei regni interiori. Santa Lucia è la Portatrice di Luce nel buio, è colei che si appresta a scavare nelle tenebre, a sondarle, a considerare il suo ruolo di Madre e al potere che cova nel suo grembo. E’ perizia speleologica alla ricerca dei meandri inesplorati del nostro inconscio, per imparare a ri-conoscerlo. Una data, questa, che ci invita a prendere atto della responsabilità che ognuno di noi ha nel diventare re del proprio regno, genitore del proprio Sole Bambino. Ci esorta a illuminare le tenebre che ci portiamo dentro grazie alla luce divina di cui tutti siamo muniti.
La morte apparente: il Solstizio d’Inverno
Tra il 21 e il 22 dicembre nel nostro emisfero il Sole raggiunge la sua minima declinazione sull’orizzonte e qui parrà rimanere per i seguenti tre giorni. Tre giorni di morte con una precisa collocazione astrologica: la costellazione della Croce del Sud. Si tratta di una data che già nell’antichità era conosciuta come Porta degli Dèi, in contrapposizione alla Porta degli Uomini del Solstizio d’Estate.
Queste due soglie rappresentavano le due estremità della Caverna Cosmica nella quale l’umanità entrava e usciva ciclicamente e simbolicamente. Col Solstizio Invernale, dunque, gli esseri umani emergono dall’antro che li ha visti discendere sempre più in profondità dentro se stessi, donando loro l’opportunità di rinascere come esseri divini, rinnovati, più consapevoli di se stessi e del loro potenziale (per approfondire le energie di questo giorno, puoi leggere l’articolo “Il Solstizio d’Inverno, Yule e Natale, feste del Sole“). Anche noi, come il nostro astro-padre, in questi tre giorni andiamo incontro a una stasi (solstizio deriva dal latino “sol stat“, ovvero “il sole si ferma”), una simbolica morte interiore. Si tratta di una soglia importante, di un momento cruciale che dovrebbe essere vissuto nel raccoglimento, come accadeva agli iniziati a cui si imponeva la morte apparente prima della grande iniziazione, provocata da sostanze psicotrope o da prove dure da affrontare e superare, come il restare per tre giorni all’interno di un sarcofago, al buio più completo, senza cibo né acqua. Il giorno del Solstizio d’Inverno era celebrato e assai sentito nell’antichità, che ha visto nascere le tradizioni più disparate al riguardo, come la battaglia tra il Re Quercia e il Re Agrifoglio presso i Celti, laddove era il primo a trionfare e a governare per i sei mesi successivi. La lotta tra polarità opposte si ritrova anche in Giano Bifronte, divinità posta a rappresentare la Porta degli Dèi e pronta a ricordarci che bene e male, passato e futuro, luce e buio non sono scissi, ma uniti e che in momenti di passaggio come quelli solstiziali coesistono, insieme alle infinite possibilità: siamo noi a scegliere chi essere, ci è stato dato il libero arbitrio per poter decidere se emergere dalla Caverna Cosmica rinnovati, divini, oppure se uscirne nella totale inconsapevolezza, perdendone il potenziale trasformativo.
Resurrezione dal regno infero: la rinascita del Natale
Tre giorni dopo il Solstizio d’Inverno, ecco il lieto evento: il Sole riprende la sua cavalcata verso Nord, annunciato dall’allineamento perfetto tra le tre stelle della Cintura di Orione – i Tre Re – e Sirio, avvenuto la sera del 24 dicembre (per approfondire, puoi leggere l’articolo “Il plenilunio del Lupo e la guida di Sirio“).
Questa alleanza stellare crea nel cielo l’immagine di una fittizia cometa, la cui testa, rappresentata da Sirio, indica il punto esatto nel quale il Sole sorgerà la mattina del 25. Poiché ciò che accade nel cosmo non è affatto scisso dall’essere umano, possiamo affermare che anche in noi risorga una luce rinnovata, il Sole Bambino che ognuno di noi si porta dentro e che ogni anno rigenera il nostro corpo a livello sottile, dando una nuova spinta alla scintilla divina che ci abita dentro. E’ una rinascita che si festeggia con tutti gli onori e che andrebbe vissuta con la consapevolezza di poter dedicare quella luce a un lavoro interiore importante lungo un anno. Una data, questa, che è da sempre associata alle divinità solari, sia maschili che femminili, e il Gesù cristiano non poteva fare eccezione, lui che è nato sulla soglia di una grotta – la Caverna Cosmica -, che è morto sulla croce – quella astronomica del Sud – e dopo tre giorni è resuscitato. Lui, che nell’iconografia è rappresentato con un’aureola solare a circondargli il capo, in cui è spesso iscritta una croce, quella della Ruota dell’Anno, delle Quattro Direzioni, del viaggio del Sole nel cielo. Quale che sia il credo di ognuno, il 25 dicembre è una data importante per celebrarsi: è rinascita, è partorire se stessi, è darsi alla luce come esseri divini e umani al contempo.
I tesori conquistati: le 12 Notti Sante e le Dame Solstiziali
Dal 25 dicembre al 6 gennaio si accede a un periodo importante, non più considerato dalla società in cui viviamo, ma conosciuto dai popoli antichi che in questi 12 giorni erano visitati dalle 12 Dame Solstiziali (per approfondire puoi leggere l’articolo “Le Tredici Notti“). Erano figure che propiziavano i raccolti, che elargivano doni all’umanità, Buone Dame pronte a essere generose con le donne e gli uomini fedeli alla tradizione.
Erano connesse alla filatura e alla tessitura e ogni notte controllavano che le case fossero pulite e in ordine. Sono dee che ci ricordano che possiamo tessere i fili del nostro destino e che dentro ognuno di noi, in questi giorni in cui il nostro Sole interiore è neonato, dovrebbero essere osservati la pulizia, l’ordine e il silenzio, poiché è solo così che potremo ricevere i doni che ci spettano: intuizioni significative per l’anno che verrà, utili a vivere al meglio il nuovo ciclo annuale che sta per iniziare. I loro doni giungono nottetempo non a caso: è nel buio che si celano i tesori più preziosi, è nelle tenebre più fitte che la luce può brillare con maggiore intensità. Sono giorni divini, dove le energie si rimescolano come in un grande calderone, brodo primordiale e caotico. Spetta a noi attraversarli con consapevolezza per ricevere i doni energetici e spirituali a noi destinati.
Conclusione del viaggio: l’Epifania
Le 12 Notte Sante culminano in quella dell’Epifania, la rivelazione, la piena manifestazione del divino nella materia. La figura associata a questa festività cristiana dal sapore pagano è la Befana, vestita di abiti consunti e rattoppati (per approfondire, leggi l’articolo “La Befana vien di notte…“). Lei rappresenta l’archetipo dell’Anziana, la Vecchia, colei che ha la piena conoscenza di se stessa dopo aver viaggiato tra i due cicli.
Vola sulla scopa a simboleggiare la fecondazione e la fertilità della terra, nella quale è presente il seme della nuova stagione che sboccerà presto. A lei sono associati il fuoco dell’Araba Fenice che risorge dalle sue ceneri, il carbone come energia latente della Madre Terra, i doni energetici che elargisce bonaria, da brava Dama del Natale quale è. Con lei tutto è manifesto, dentro e fuori di noi. Col suo arrivo siamo pronti a donarci al mondo come esseri completamente rinnovati, consapevoli della maturità raggiunta. Il viaggio iniziatico giunge al termine con i doni più grandi che possiamo esserci meritati: l’oro, l’incenso e la mirra dei Magi insieme ai semi della Befana – che sanciscono l’iniziazione avvenuta per chi ha attraversato il periodo solstiziale con consapevolezza – oppure il nero carbone dell’occasione bruciata, di chi ha ancora bisogno di prove per riuscire a vedere il mondo con occhi nuovi. Nessun premio e nessun castigo: solo ciò di cui abbiamo bisogno per la nostra crescita spirituale e individuale.
Il viaggio iniziatico ed eroico a cavallo di due anni, di due giri intorno al Sole, si conclude così: con la promessa della Primavera (prima-vera-vita) nella quale potremo risplendere, portando nel mondo talenti e virtù così come fa la terra, che dona fiori virtuosi ai suoi figli. In qualsiasi cosa tu creda, prova a considerare, da quest’anno in poi, il viaggio divino che sei chiamato/a ad affrontare, sali su quel cavallo solstiziale che non vede l’ora di riportarti a te e lascia che ti guidi attraverso mondi vecchi e nuovi al contempo, ora che li hai decifrati. Abbandonati e guarda cosa accadrà da oggi e negli anni a venire.
Con Meraviglia, Libertà e Amore nel cuore.
Mel
© Melania D’Alessandro per http://www.spondediboscomadre.com
Se ti interessa approfondire le energie del periodo, ti consiglio di leggere anche questi articoli:
Son cresciuta tra due fiumi, modellata dalle loro energie e da una terra lambita dal mare. Nell’utero materno prima e sulla terra poi, ho ricevuto un abbraccio d’acqua che mi porto dietro dalla mia vita intrauterina e che non mi abbandona mai, sta scritto in ogni mia cellula.
Sono cresciuta dove i monti sono piccoli giganti da guardare con meraviglia e che ti coprono le spalle e ti proteggono dal vento e da climi troppo rigidi. Sono presenze imponenti, che ti fanno sentire cullata tra braccia invincibili, ma mai troppo strette, lasciandoti libera di andare lontano, se vuoi.
Per questi motivi credo di riuscire a comprendere cosa dovessero provare i popoli che calcarono la Liguria davanti a certe manifestazioni del divino nella materia, come accade in una delle valli che solcano questa terra, a ponente.
Qui dormono ancora due déi in attesa di essere ridestati dal sonno, due cime sacre dedicate a Belenos il Brillante e a Mai Mona, la Grande Madre. Sotto di loro scorre un torrente cristallino e vivace, che fa balzi acrobatici tra le rocce e crea polle d’acqua che pure la più bella delle figlie di Teti e di Oceano vorrebbe accaparrarsi. Uno di questi laghi è dedicato ancora una volta a Mai Mona, grande Dea a cui le donne Liguri si rivolgevano in questi luoghi selvaggi per guarire, per chiedere benessere e fertilità.
Mai Mona, la Grande Madre
In un angolo della Liguria di Ponente si conserva ancora oggi, grazie alla preziosa memoria degli anziani, un culto antico e dalle forti connotazioni matriarcali. Mai Mona compare come toponimo connesso alle vette e alle acque e ci sono testimonianze di riti che la riguardano e che sono sopravvissuti sorprendentemente intatti fino a pochi decenni fa.
E’ il caso, per esempio, di una lastra d’ardesia su cui era raffigurata Mai Mona. Accanto a lei, c’era una piccola vasca di pietra simile a un mortaio, un’acquasantiera naturale atta a raccogliere le acque piovane. L’immagine sacra era posta nei pressi della cima dedicata alla Dea e, nel percorrere quel sentiero, il viandante lasciava offerte in suo onore, che consistevano in vivande simboliche dell’abbondanza della terra – come farinacei o frutti freschi – o della fertilità – come la frutta secca. Se nel mortaio era presente dell’acqua, il viaggiatore ne portava via un po’, raccogliendola in un contenitore che aveva portato con sé per l’occasione. Quel liquido sacro proveniente dal cielo, puro, incontaminato, sarebbe risultato utile in caso di malattia, poiché Mai Mona veniva invocata per ricevere guarigione e scongiurare la sterilità.
Gesti e credenze, questi, che rimandano alla concezione antica del dare e del ricevere, che noi esseri umani moderni abbiamo smesso di praticare, con grande danno di noi stessi e del prossimo. L’antica Dea dei primordi, infatti, insegnava che la Natura di cui ella stessa faceva parte poteva al contempo elargire e trarre a sé la vita, così come ogni elemento naturale dà e prende, in perfetta armonia con le leggi del cosmo. Noi esseri umani moderni, invece, siamo governati da due istinti malsani, il servilismo e l’egoismo, due demoni che ci portano o a prostrarci nel dare tutto ciò che abbiamo al prossimo – in termini di tempo e servizi – senza mai badare a noi stessi, oppure, al contrario, al non curarci del benessere altrui, indifferenti e privi di compassione. Non siamo più in grado di considerarci parti del Tutto, come invece facevano i nostri antenati con estrema saggezza. Oggi pretendiamo senza offrire nulla; vogliamo raggiungere la conoscenza senza sacrificio; non conosciamo il vero e profondo valore dell’offerta di sé. Allo stesso modo, elargiamo aiuti e consigli non richiesti; ci affanniamo per piacere agli altri, quando l’unica approvazione che stiamo inconsciamente cercando è quella di noi stessi; ci laceriamo pur di accontentare richieste di datori di lavoro/partner/figli, senza considerare la cosa più importante che abbiamo, e cioè noi stessi.
Sono concetti estranei a quelle popolazioni che vissero qui come altrove e che erano invece perfettamente allineate con le energie cicliche del cosmo. Se si desiderava chiedere la guarigione, si doveva lasciare qualcosa in cambio, a mo’ di sacrificio.
Dare e prendere. Offrire e ricevere. Non esistevano l’uno senza l’altro, non potevano essere scissi, così come non si poteva distinguere la vita dalla morte, poiché queste due polarità erano considerate appartenenti al medesimo ciclo dell’esistenza. Allo stesso modo, Mai Mona, la Grande Madre dei primordi, era Dea connessa a quelle acque che erano sinonimo di guarigione, di nascita, di vitalità… ma rappresentavano anche il liquido amniotico, le acque del grembo materno al quale ogni essere umano sarebbe tornato alla fine dei suoi giorni terreni, nonché l’inconoscibile.
La potente e preziosa raffigurazione di Mai Mona è andata perduta con il secondo conflitto mondiale, ma ne resta il ricordo fra i più anziani, così come si conservano tracce del suo culto in diversi luoghi del Ponente Ligure. Oltre a laghi, sorgenti e cime a lei dedicate, sono state trovate vasche artificiali di notevoli dimensioni scavate nella roccia e atte a raccogliere l’acqua piovana, soprattutto in luoghi d’altura ove i pastori erano soliti trascorrere i mesi estivi con il bestiame, lontano dai laghi a fondovalle. Sintomo, questo, della magnificenza che ispirava questa dea primordiale e arcaica che in epoca cristiana finì per essere identificata con la Vergine Maria, se, pur di venerarla, l’uomo di un tempo si spingeva a compiere opere grandiose in luoghi scoscesi dove l’acqua poteva essere raccolta solo dal cielo.
E proprio in questi luoghi intitolati a Mai Mona, il cristianesimo eresse cappelle dedicate alla Madonna e a Santa Lucia.
Da Mai Mona a Santa Lucia
A questo punto, sorge spontanea una riflessione. Sappiamo che sui picchi che incorniciano i luoghi di Mai Mona – come il Monte Abellio o Colle Belenda, per esempio – dorme il dio Belenos, il brillante e luminoso, colui che è connesso al fuoco della forgia e dell’illuminazione. Ma quel Belenos, più tardo rispetto a Mai Mona, potrebbe in verità essere la trasposizione patriarcale di un’altra divinità: Belisama, considerata sua consorte e dea anch’ella preposta al fuoco e all’artigianato, ma pure alle acque. Dunque, da Mai Mona, si potrebbe essere passati alla divina e gallica Belisama, poi al luminoso Belenos.
Col sopraggiungere della cristianità, visto il fervore con cui le pratiche pagane e arcaiche venivano ancora praticate dal popolo, la Chiesa dovette arrendersi alla potenza dei culti femminili, accontentando coloro che non volevano abbandonarli. Le antiche dee e i riti a esse connesse, dunque, furono inglobate da figure femminili cristiane, come Santa Lucia.
E non è certo un caso che sia stata scelta proprio lei a fare da guardiana a un luogo così potente energeticamente, una santa connessa alla luce e al fuoco, le stesse di Belisama, e al ciclo di vita-morte-rigenerazione della più arcaica Mai Mona.
Santa Lucia, infatti, racchiude in sé le polarità luce-buio, vita-morte, principio-conclusione che fanno parte di tutte le dee più arcaiche, compresa Mai Mona. Lucia, diretta discendente di divinità come la Perchta e di spiriti come Lussi, è collocata nel calendario cristiano in quella che per gli antichi era la notte più buia e oscura dell’anno, il 13 dicembre, e lei giungeva con la sua corona di candele posta sul capo a illuminare le tenebre e a portare doni ai più piccoli. Ma nella sua versione più arcaica e pagana, Lussi (Santa Lucia) era uno spirito femminile connesso al mondo ctonio e che esigeva rispetto; non elargiva i suoi doni a chi non li meritava, spalancando l’oscurità per chi non osservava riposo e silenzio durante le notti che si avvicinavano al solstizio invernale. Ella presiedeva le nascite e decideva quando dovesse sopraggiungere la morte. Ecco, dunque, tornare la Dea primordiale nel suo carattere sia vitale che mortifero, sia luminoso che oscuro.
Lussi/Santa Lucia è connessa con le attività della tessitura e della filatura (artigianato a cui è preposta anche Belisama), il che la rende una figura divina legata al fato, esattamente come le Norne, le Moire e le Parche, dirette eredi della Grande Madre primordiale. La rete disegnata dal filo nella trama e nell’ordito richiama il simbolo acquatico della rete da pesca, inciso in epoca matriarcale su diversi supporti e che la Gimbutas ipotizzò essere un attributo della Dea dell’Antica Europa, la Mai Mona venerata dai liguri, in particolar modo nel suo essere legata alle acque.
Esiste, dunque, un’evidente connessione tra queste tre figure divine – Mai Mona, Belisama e Santa Lucia – un collegamento che pare tracciare i disegni di un arazzo prezioso e antico, giunto sbiadito fino ai giorni nostri, ma ancora vivo nella cultura nostrana.
Non credo al caso, tuttavia non ho certezze. Ho dalla mia “solo” il sentire che i luoghi lasciano sottopelle, un fiuto che, a prescindere dai nomi che diamo alle cose, mi dice quanto ritrovare il sacro in ogni sua forma sia un atto di grande Bellezza e Coraggio.
Mel
© Melania D’Alessandro per http://www.spondediboscomadre.com
Ogni cosa nell’Universo manifesta pienamente se stessa. Ogni cosa è, esiste, e come tale riveste un ruolo, che non è solo quello di “prendere” (nutrimento, luce, acqua, insegnamenti, vita…) ma anche quello di “dare”, offrire parti di sé, e così facendo Tutto è più ricco e carico di abbondanza per tutti i suoi esseri. Ciò accade quasi in sordina, senza mettere manifesti né la mediazione di una mente che calcola, valuta, discerne.
Un albero dona ossigeno, fiori, polline e frutti. Senza chiedere nulla in cambio. Così è e così sarà sempre.
Gli insetti donano nuova vita alla terra trasportando il polline. Senza chiedere nulla in cambio. Così è e così sarà sempre.
Gli animali donano equilibri agli ecosistemi. Senza chiedere nulla in cambio. Così è e così sarà sempre.
Le rocce offrono sostegno. Senza chiedere nulla in cambio. Così è e così sarà sempre.
E noi esseri umani?
Ho trascorso tanti anni della mia vita chiusa in un bozzolo, trincerandomi dietro un inespugnabile guscio di spine. Da esso non trapelava nulla di me, solo chiusura.
Ero un essere apparentemente sterile, che non concorreva alla ricchezza e all’abbondanza del mondo. Persino inespressiva, trincerata dietro una corazza protettiva che mi impediva di essere ferita.
Avevo un bagaglio riempito a dismisura di paure, dubbi, insicurezze. Il giudizio che avevo di me era limitante, schiacciante e lasciavo che mi governasse, annullandomi.
“Se copri un’immagine d’oro con un telo nero, potrai dire che l’immagine si è annerita? Certo che no! Sai bene che, dietro quel velo, l’immagine è ancora dorata. E così sarà quando strapperai il velo nero dell’ignoranza che ora nasconde la tua anima: contemplerai, ancora una volta, l’immutabile bellezza della tua natura divina. Tu sei divino, devi solo averne consapevolezza. Devi guardare dentro di te.”
~Paramhansa Yogananda~
Quanto tempo ho impiegato a guardare quel telo nero, senza riuscire a scorgere l’immagine dorata che da sempre esisteva sotto di esso… Quanti anni trascorsi a concentrarmi solo su quello che di me non andava bene, che dovevo cambiare, scardinare, disgregare.
Oggi non sono più quella Mel.
A poco a poco, con un lento e paziente lavoro su di me, ho allentato la presa su quella zavorra che mi portavo appresso, liberandomi dei pesi che avevo sul cuore. E ho iniziato a scolpire la nuova me, anche grazie alla guida di chi era più avanti nel percorso della vita e con l’aiuto terapeutico di Madre Natura.
E allora, solo allora, ho compreso.
Cosa accadrebbe se un albero avesse paura di fiorire e privasse la Terra dei suoi doni? E se il sole e le stelle non brillassero più?
Nel rispondere a queste domande mi son chiesta perché per noi esseri umani sia spesso difficile donare talenti, qualità, amore, energia consapevole al mondo, perché ci lambicchiamo con dubbi e insicurezze, lasciandoci bruciare internamente da un fuoco distruttore che fa piazza pulita di tutto.
Così facendo ci estraiamo da quella Natura di cui siamo parte. Feriamo noi stess* e priviamo l’intero Universo delle bellezze che abbiamo e che sarebbero doni inestimabili per molt*, tenendoli chiusi in uno scrigno di cui, spesso, non ricordiamo neppure dove sia la chiave.
Ma la vita non può consumarsi così. Perché non è vita.
Persino il seme, chiuso in se stesso, ha in sé la forza di germogliare nel buio, di forare la terra che l’avvolge ed emergerne trasformato. E quella forza, quel coraggio, sono anche nel nostro cuore, coperti dai “non sono abbastanza”, “cosa lo faccio a fare?”, “gli altri son più bravi di me”.
Ma non siamo qui per questo.
Siamo qui esattamente come l’albero che fiorisce e fruttifica senza domandarsi se i fiori del pesco siano migliori di quelli del mandorlo.
Siamo qui come il lupo che caccia ungulati per nutrirsi e che, senza saperlo, fa sì che il bosco resti più intatto e vitale.
Siamo qui come la farfalla che col suo volo incanta e ispira potenti metafore di rinascita.
L’albero, il lupo, la farfalla… si donano al mondo, vivono, esistono nella loro completezza.
Perché noi rendiamo la nostra vita così difficile?
E allora mi e ti dico: non privare il mondo della tua luce e del nutrimento che puoi offrire.
Dona! Vivi! Sii te stess*!
Col cuore e dal cuore.
In piena libertà.
Mel
Sentirlo bramire in Autunno, nella sua stagione degli amori, è una delle esperienze che più ci connette alle nostre ataviche e selvagge radici. Il Cervo, come il Lupo e l’Orso a cui è strettamente legato, è uno degli animali che incarna in modo diretto l’archetipo dello spirito selvatico libero e forte, e per molte culture rappresenta un potente messaggero dell’Oltre.
Il nome di questo animale per molte culture ha sempre avuto il significato generico di “animale selvatico”, e questo ci fa comprendere come il Cervo sia strettamente connesso con la selvatichezza, con l’idea della vita inviolata di una natura vergine, integra.
In contrapposizione a ciò, tuttavia, c’è il fatto che questo animale, considerato Re della Foresta per la maestosità del suo portamento, è da sempre oggetto principale della caccia per mano dell’uomo, fin dagli albori, caratteristica che ha fatto nascere intorno a questa figura una profusione di miti e leggende riguardanti proprio il mondo venatorio.
Il folklore, infatti, trabocca di storie di re e cacciatori che, per seguire un cervo o una cerva si sono perduti nel bosco e hanno finito per vivere meravigliose e strabilianti avventure. Ne sono un esempio i racconti di Re Artù e dei suoi cavalieri, ma anche delle gesta irlandesi dei Fianna. Proprio a causa di un cervo, Sir Galvano finì per immergersi in vicende inaspettate e impreviste. E fu una donna sidhe, trasformata in cerva dalla maledizione di un druido meschino, a mettere al mondo il grande bardo Ossian, figlio del mitico eroe irlandese Fionn MacCumhaill (se vuoi saperne di più riguardo la figura di Ossian, ti consiglio di leggere il mio articolo “Ossian e Niamh, tra Spirito e Materia“). Il condottiero la incontrò proprio durante una battuta di caccia, risparmiata dai cani di lui poiché ne avevano riconosciuto la natura umana.
Queste e altre storie contengono una morale assai interessante su cui soffermarsi, che fa parte del messaggio energetico di questo mammifero: coloro che non cacciano per aggressività e per infliggere la morte, ma per conoscenza, possono essere condotti sempre più in profondità nel cuore della foresta e a incontri con il Mondo Altro, quel regno fatato che è dimensione dell’Anima e dello Spirito, contrapposti alla materia e alla carne.
Ma il Cervo non è importante solo nelle storie e nei racconti, bensì anche a livello spirituale: Buddha assume spesso la forma di questo animale, ad esaltare il suo messaggio di innocenza e di ritorno alla natura. Giunse a rappresentare persino il Cristo per i principi di resurrezione che ispira in chi impara a conoscerlo oltre l’aspetto meramente terreno che Madre Natura gli ha dato.
I palchi di corna crescono solo sugli esemplari maschi e si rinnovano ogni anno. Hanno funzione fortemente protettiva, se si considera che crescono proprio dietro gli occhi dell’animale e che lo aiutano a difendersi in caso di attacco o durante le lotte con i rivali. Inoltre, sono paragonabili ad antenne che connettono a più alti piani di armonizzazione. A livello totemico, la presenza delle corna può essere indicativa dell’attenzione da prestare ai pensieri più intimi e alle percezioni, alle intuizioni; data la crescita progressiva di anno in anno dei palchi, il cervo indica la ricerca di espansione in chi possiede questo totem. Visto il rinnovamento annuale delle corna, il Cervo ha finito per simboleggiare la vita che ringiovanisce continuamente, la rinascita e la ciclicità del Creato. Ecco perché questo animale divenne rappresentante diretto del mondo divino, arrivando a incarnare déi e dee. La sua forza è in perfetta sintonia con i ritmi naturali e le sue corna sono un’immagine limpida del ciclo di Vita-Morte-Rinascita, che lo ha reso un simbolo magico e potente di longevità e abbondanza, soprattutto per la caratteristica vegetale – quella delle corna così simili a rami – accostata a un rappresentante del regno animale.
I sensi dei cervi sono molto acuti. Gli occhi sono in grado di percepire movimenti anche a notevoli distanze e sanno captare contorni e contrasti anche in condizioni di scarsa visibilità. Lo stesso accade coi sensi dell’udito e della vista di chi ha questo totem.
Il Cervo si mostra quando è tempo di coltivare la gentilezza per se stessi e per gli altri, di risvegliare una nuova freschezza e nuove avventure da intraprendere con la stessa innocenza dei cuccioli e dei bambini.
Il maschio vive un’esistenza per lo più solitaria contendendosi gli harem di femmine con altri pretendenti, con i quali ingaggia furiose battaglie a suon di cornate. Per queste caratteristiche, il cervo rappresenta sicuramente anche l’orgoglio, la fierezza e la fermezza, quelle che fanno di lui un vero Re, insieme a un innegabile bisogno d’indipendenza che si mescola non di rado con quello di solitudine e del portare avanti progetti e ideali in compagnia di se stessi. L’essenza del Cervo parla della caparbietà e della forza nel difendere il proprio territorio e i propri indiscutibili diritti e bisogni fondamentali, come quello di riprodursi e di assicurare non solo protezione al proprio nucleo familiare, ma anche una prolifica discendenza della specie. Questo, a livello energetico, si traduce con il bisogno di affermarsi, di riconoscersi forti e fieri sovrani del proprio mondo, centrati e fortemente connessi non solo con i piani più alti e sottili (indicati dalla corona di corna), ma anche di quelli terreni e materiali, laddove chi ha questo totem pro-crea, in-semina progetti e idee affinché trovino la strada per far germogliare il Tutto. Gli esemplari maschi, per la possanza, l’agilità e il vigore, inoltre, sono diventati simbolo del guerriero e di colui che combatte con coraggio.
Le cerve, invece, incarnano la grazia e la gentilezza del principio femminile. Sono state considerate messaggere dell’Altromondo in grado di condurre al regno delle Fate: invitano, infatti, a guardare oltre il materiale e la superficialità per giungere al cuore delle cose, alle cause piuttosto che agli effetti. Invitano all’esplorazione della dimensione spirituale dell’esistenza. Le femmine di cervo erano particolarmente sacre ai Druidi e ai Celti. In Scozia si credeva fossero allattate dalle fate sulle vette montuose e che fossero in verità fate che avevano scelto di assumere forma animale. Sempre in Scozia si raccontava che esistessero tre grandi dee che si prendevano cura di questi animali fatati, chiamate Cailleach: una viveva sulle montagne, un’altra aveva il compito di proteggere le femmine dai cacciatori, mentre alla terza spettava allattarle e farle pascolare sulle colline e nelle foreste. Nelle leggende irlandesi, invece, la cerva rappresenta spesso il legame con la terra e con la Grande Dea, che doveva essere rispettato soprattutto dai capoclan e dai sovrani. Era identificata spesso con Flidhais, dea irlandese di tutto ciò che è selvaggio, simile alla mediterranea Diana. Ella era corrispettiva delle tre dee-streghe scozzesi, poiché accudiva i cervi tanto da divenirne la divinità.
Nella tradizione celtica i cervi erano chiamati “tori delle fate” o “bestiame della Dea”. Per il loro carattere di intermediari tra il mondo umano e quello divino/fatato, divennero presto psicopompi, accompagnatori di anime da un regno all’altro. Ecco, dunque, che questo ruolo li accosta facilmente al periodo di Samhain, momento dell’anno in cui il velo tra i mondi si fa più sottile, consentendo scambi tra le dimensioni.
Il Cervo porta qualità di maestosità e integrità, offre un nuovo senso dell’equilibrio e di protezione. Meditare su questo archetipo nei momenti di vulnerabilità aiuta a trovare la forza, la centratura e la sicurezza in se stessi. Questo animale è fortemente iniziatico, tanto che nell’alfabeto arboricolo celtico Ogham è associato alla Betulla, la prima lettera e l’albero che più di ogni altro benedice i nuovi inizi. Per questo, i cervi sono di buon auspicio quando si è in procinto di dare il via a qualcosa di nuovo. Inoltre, sono animali connessi alla fertilità, alla sessualità, come ci tramandano l’arte rupestre e l’artigianato preistorico, secondo cui la testa coronata dai palchi del cervo era espressione dell’utero per la sua somiglianza con esso, ma anche delle acque e delle fonti, che rimandano alle doti creative e vitali della Grande Madre dei primordi.
In tempi più recenti, il Cervo è stato associato al dio Cernunnos, signore degli animali e delle foreste, raffigurato come un uomo con le corna. Anch’egli, come l’animale di cui porta gli attributi, è associato alla fertilità e alla sessualità, alla caccia e al raccolto. Talvolta è visto anche come il Signore della Caccia Selvaggia che trasporta gli spiriti dei defunti nell’Altromondo. Questo dio celtico sembra essere stato presente fin dal mesolitico, poi utilizzato dal cristianesimo per forgiare l’immagine per antonomasia del Diavolo, demonizzando così la spiritualità primeva, incentrata sulla natura e sulle sue forze. Nelle nostre zone alpine, soprattutto quelle di cultura occitana, ha assunto il nome e le sembianze di Lou Barban.
Se nella vostra vita o nel vostro cammino spirituale doveste incontrare un Cervo, fate tesoro dei suoi insegnamenti, delle sue energie e dei suoi messaggi per voi, e state pur certi che qualcosa di nuovo e di assai potente di prospetta nel vostro immediato futuro.
Con selvatica libertà.
© Melania D’Alessandro per http://www.spondediboscomadre.com
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Fonti:
Mese preposto alle vacanze, alle grandi feste che aiutano a scaricare tensioni e fatiche dell’anno lavorativo trascorso, agosto è contrassegnato dalla tenacia del caldo, che però cede lentamente il passo all’Autunno di cui mostra già i primi segni, come l’erba ingiallita nei campi, gli alberi stanchi le cui foglie impallidiscono e sbiadiscono, o ancora l’uva che matura sulla vite, segno dell’approssimarsi della vendemmia.
Il nome di questo mese, come quello che l’ha preceduto, deriva da un personaggio, il primo imperatore romano Cesare Augusto. Il numero a esso associato è l’otto, che indica pienezza e quiete e simboleggia l’equilibrio cosmico. E’ un numero che ispira e promette compimento, nuova vita, resurrezione e, come sempre, non è un caso che sotto l’egida agostana si concluda – si compia – il ciclo agricolo con il raccolto, insieme all’auspicio di un nuovo giro di ruota all’insegna dell’abbondanza e della vita.
Ed ecco allora fiorire nel mondo antico una profusione di feste in cui si rispecchia molto della mentalità e delle abitudini della popolazione, celebrazioni di cui abbiamo quasi del tutto perso la memoria, ma che ancora parlano al nostro cuore della profonda connessione con la natura che potremmo ritrovare.
Il calore di queste giornate rimanda sicuramente alla forza del sole, motivo per cui ispirò feste dedicate a divinità e personaggi dallo spiccato carattere solare, come il celtico Lugh e il romano Ercole.
Il primo giorno di agosto era dedicato alla festa di Lughnasadh presso i Celti, che prevedeva lauti banchetti, condivisione del raccolto e tradizioni dedicate al grano (per approfondire, leggi gli articoli “Lughnasadh e Lammas, feste del raccolto” e “Il pane di Lammas trasforma anche noi“). In questo giorno avveniva la grande assemblea del popolo d’Irlanda, che si riuniva a Tailltiu per scopi commerciali e di divertimento.
Si celebrava con riti estatici il dio Lugh, che spesso fu associato e sostituito da Apollo in epoca romana, poiché come lui era poeta, medico e suonatore, oltre che fabbro e guerriero. Per la tradizione cristiana, inoltre, è interessante notare come questo primo giorno di agosto segnò la caduta di Lucifero dai cieli, e il nome di quello che sarebbe diventato poi il diavolo rimanda proprio alla luce, al sole. Ma Lughnasadh non era solo festa solare: infatti, in origine era associata alla morte di Tailtiu, madre adottiva di Lugh. Appare piuttosto evidente lo stretto legame tra la morte della dea del grano, falciata dai contadini, e le celebrazioni in onore del figlio divino – il chicco di grano, simbolo solare – seme della speranza per il nuovo ciclo agricolo che verrà. L’antica devozione per la dea fu soppiantata in epoca patriarcale da quella per il dio, ma rimangono e sopravvivono le tracce del periodo più arcaico. Curiosa e interessante è pure la somiglianza di Tailtiu e Lugh con la Vergine Maria e Gesù Cristo, soprattutto in vista della grande festa cristiana dedicata alla Madonna proprio in questo mese.
Ad agosto giungono a maturazione le nocciole e il 5 principia il mese dedicato proprio al Nocciolo secondo il calendario arboricolo Ogham dei Celti. Il frutto di questo albero simboleggia la saggezza interiore e la conoscenza. Si dice che sostando sotto le sue fronde sia possibile ricevere ispirazione artistica. E’ simbolo di fertilità e fecondità associato alla Grande Madre e sono proprio i rami di questa pianta a essere usati dai rabdomanti; per questo si racconta che aiutino a rivelare ciò che è nascosto.
Il passaggio delle Perseidi nei cieli raggiunge il suo culmine intorno al 10 agosto, San Lorenzo, “la notte dei desideri”. Desiderare, dal latino “de-sidera”, significa letteralmente “distanza dalle stelle”. Curioso come una semplice parola appaia contraria al significato che le attribuiamo. Eppure Il desiderio ci allontana effettivamente dalle “stelle”, da ciò che vorremmo veder brillare nella nostra vita. Desiderare significa in qualche modo porsi in una condizione di attesa, aspettativa, speranza, le quali non ci porteranno a ottenere quel che vogliamo, ma solo ed esclusivamente ciò che siamo in quel momento: attesa, aspettativa e speranza.
Io oso, io posso, io voglio: sono questi gli ingredienti di colui che è “con le stelle”, perché egli si con-sidera parte del cielo cupo della notte e della luce degli astri, non cerca al di fuori di sé ciò che sa di avere dentro. Egli si ordina un cambiamento, chiede a se stesso ciò che vuole, perché lui è il Tutto e il Tutto è dentro di lui. Ecco perché per la sera dedicata all’avvistamento di stelle cadenti l’augurio dovrebbe essere quello di cogliete l’occasione per con-siderarci parte di quell’Universo che spesso releghiamo alla volta di un cielo distante da noi, proprio come i nostri lontani antenati che vivevano in comunione con la terra, il cosmo e gli elementi.
Tante sono le celebrazioni del periodo dedicate alle dee, e non è un caso che, per l’appunto, per la cristianità il 15 agosto sia il giorno dell’Assunzione della Vergine Maria. Il vicino Oriente in questo periodo, prima dell’istituzione della festa cristiana, celebrava una Grande Madre, la dea Atargatis.
Ella aveva il corpo per metà di donna e per metà di pesce, ed era la patrona della fertilità e dei lavori campestri. Questa associazione apparentemente strana tra l’animale acquatico e gli attributi della divinità femminile non deve stupire: acqua, pesci e reti, come ipotizzò la Gimbutas, erano considerati fin dalle civiltà preistoriche simboli della Dea Madre e della terra che rappresentava il suo corpo. La forma a mandorla del pesce, inoltre, richiama la vesica piscis, facilmente accostabile alla vagina femminile, la porta della vita. Con il processo di evangelizzazione dei primi secoli dalla nascita di Cristo, le qualità di protettrice delle attività agricole di Atargatis furono trasferite alla Vergine. A dimostrarlo è il fatto che ancora oggi in alcune zone dell’Armenia pare si benedicano all’Assunta i grappoli d’uva.
In questo mese si collocavano pure le celebrazioni dedicate alle dea Salus, identificata talvolta con Igea, figlia di Asclepio, il dio della medicina. E’ curioso anche in questo caso notare come il simbolo del caduceo, associato proprio all’ordine dei medici e dei farmacisti, derivi da tempi pre-greci e proprio da Igea/Salus, che veniva raffigurata insieme a due serpenti intrecciati. Salus, come indica il suo nome, è dea della salute, perfettamente consona al periodo di pienezza e abbondanza in cui ci troviamo.
La sfilata di festeggiamenti connessi a divinità femminili prosegue con Venere, celebrata nel suo aspetto campestre come prefiguratrice della prossima vendemmia. Anche Iside, Dea Madre dell’antico Egitto assai venerata pure dai Romani, era protagonista di feste e tradizioni che ne richiamavano i poteri.
La tradizione mediterranea vuole che in questo mese sia più facile scorgere Pan e le ninfe danzare nei boschi. A metà del mese cadevano le feste dedicate a Diana Nemorensis e a Giunone Lucina, quest’ultima richiamata come protettrice delle partorienti. Secondo Frazer, la Diana delle selve si univa in uno sposalizio sacro al Re di Nemi e la ricorrenza era celebrata con riti estatici. Il mese si concludeva con le celebrazioni della dea del raccolto e dell’abbondanza agricola, che portava il nome di Openconsiva. Questa divinità – in origine conosciuta dai sabini come Consiva, poi col nome di Opi – era invocata per la protezione delle provviste nei granai.
Tornando invece alle divinità maschili, i giorni centrali del mese vedevano come protagonista il dio Virtumno, colui a cui spettava il compito di trasformare ciclicamente le stagioni. A lui si doveva la maturazione dei frutti, come scrive Properzio. Altro dio ricordato nel periodo era Portuno, divinità delle porte simile a Giano, che si festeggia invece a Gennaio. Torna, dunque, il concetto di varco temporale tra un ciclo che si conclude e uno che si apre, connesso in particolar modo al mondo agricolo e campestre, un tema che si ritrova anche nella ricorrenza romana del Mundus Patet, il 24 agosto.
Il Mundus Cereris – regno della dea Cerere/Demetra – era una fossa circolare che delimitava il confine tra il mondo dei vivi e quello dei defunti, ed era protagonista di culti misterici ed esoterici della tradizione romana. Tale cavità, situata nel santuario di Cerere, restava chiusa tutto l’anno ad eccezione di tre date (24 agosto, 5 ottobre e 8 novembre), quando la pietra che la copriva veniva sollevata per mettere in collegamento i due mondi. Sappiamo poco dei riti che vi si svolgevano, ma ci è stato tramandato che durante l’apertura del mundus (Mundus Patet), era proibito svolgere attività pubbliche, come combattere guerre e contrarre matrimoni. Ad ogni modo torna la simbologia della Grande Madre dei primordi, colei che presiedeva il ciclo di vita-morte-rigenerazione grazie ai poteri elargiti dal suo utero e dalla sua sacra vulva.
Dopo il Solstizio d’Estate, avanza la metà discendente dell’anno e, con essa, crescono i riti connessi alla morte e all’introspezione, un carattere che si riflette nei temi del Mundus Patet. La natura stessa, come abbiamo visto, parla di discesa e decadimento, e lo fa usando il linguaggio che le è più consono. In questo periodo, infatti, col suo verso udibile dal nostro orecchio, si alza in volo nelle ore crepuscolari l‘Acherontia atropos, anche conosciuta come Sfinge Testa di Morto, una falena che presenta sul dorso una macchia che ricorda la forma del teschio umano.
Ovviamente questa caratteristica ha fatto nascere leggende e superstizioni sul suo conto, che la interpretano come presagio nefasto. Una fama perpetuata anche dall’altisonante nome scientifico dal sapore squisitamente mitologico affibbiatole da Linneo nel 1758. Richiama infatti l’Acheronte, fiume che secondo la tradizione greca era solcato dalla barca di Caronte – traghettatore di anime dal regno dei vivi a quello dei defunti -, e presenta un chiaro riferimento anche ad Atropo, la terza delle tre Parche, colei che recideva il filo della vita umana decretando la morte.
Agosto, infine, è il mese in cui principia il segno zodiacale della Vergine, governato da Mercurio. La terra di questo periodo rispecchia la verginità – l’integrità – del segno zodiacale che domina i cieli, poiché dopo il ciclo agricolo concluso è pronta a ricevere il nuovo seme. Chi è nato sotto questo segno, ama la disciplina e il controllo, è parsimonioso e tende ad accumulare, ma si contraddistingue anche per la serietà, la riservatezza, e lo scetticismo.
Il mese di agosto, dunque, ha in se un’abbondanza di temi ed energie con le quali dovremmo imparare a riallinearci, distinguendole in primis dentro di noi. Al pari della terra, venerata nel mondo antico sotto forma delle dee analizzate nel presente articolo, in questo periodo in noi muore qualcosa e ciò crea spazio vuoto uterino per il seme che verrà, quello che germoglierà la prossima Primavera. Così come nel sanguinamento mestruale l’utero espelle la cellula uovo non fecondata e si prepara a un nuovo ciclo, agosto purifica, prepara il campo della nostra interiorità affinché nuovi chicchi di grano possano trovarvi dimora. E il grano è nutrimento, figlio della terra, del cielo e del sole. Cerchiamolo in noi, quel nutrimento. Piantiamolo metaforicamente affinché cresca e s’innalzi, e noi con esso fino a un nuovo giro di ruota.
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“Sai cantare come cantan le montagne?” (dal film d’animazione Disney, Pocahontas)
Ogni cosa esistente possiede una voce. Sai ascoltare la tua? Sai sentire quella di tutto il Creato?
Non mi riferisco a una voce fisica, udibile attraverso le orecchie, ma a quella che invece ogni fibra del tuo essere può avvertire, captare in ogni momento della giornata. In natura è più facile sintonizzarsi sulla giusta frequenza e provare sensazioni differenti e insolite, ma ciò non significa che tu non possa trovare e sperimentare la stessa dimensione anche in un ambito più cittadino e antropizzato.
Per facilitarti un po’ le cose, però, inizia dal bosco, da una radura, da una polla d’acqua limpida.
Cammina in silenzio e abbandonati completamente a quello che avverti dentro e fuori di te, senza freni. Le prime volte è difficile, potrebbe addirittura spaventarti, perché le sensazioni che salgono al cuore non sono sempre positive, ma prova a comprendere che nulla può farti del male.
Assapora sotto la pelle delle dita la corteccia degli alberi. Sentila con tutto il tuo essere. Siete pelle contro pelle. Posa i tuoi passi sulla terra con lentezza, come se la stessi accarezzando. Mescola le tue cellule con quelle dei torrenti, diventa consapevole di quello che sei, di essere parte di quel mondo, non semplice spettatore/spettatrice. Sei parte di esso perché tu sei movimento, suono, vibrazione, esattamente come tutto il Creato, ed è quella vibrazione che devi abituarti a sentire, è con le onde sonore della natura che devi imparare a entrare in risonanza.
Quante volte, leggendo libri di spiritualità, mi sono imbattuta in capitoli che parlavano dell’offrire qualcosa agli spiriti dei luoghi… Si parla per lo più di libagioni, di cibi o di erbe, ma non si pensa mai alla cosa più semplice che abbiamo da offrire (perché l’offerta, sì, è sempre importante; il dare e il prendere in uno scambio ciclico continuo): la nostra stessa vibrazione, la nostra personale energia, che è fatta del movimento del sangue nelle vene, della pulsazione continua e impercettibile di tutti i nostri tessuti, degli impulsi cerebrali, dello spostamento dell’aria provocato dai movimenti del nostro corpo, del battito costante del nostro cuore, del ritmo e del ciclo del respiro, delle emozioni che proviamo.
Può sembrare apparentemente banale, ma non lo è affatto, in un mondo che non ha occhi e orecchie come le nostre, ma percepisce ogni cosa attraverso la vibrazione, per l’appunto.
Portiamo sempre la nostra energia in ogni luogo in cui andiamo e negli ambienti che attraversiamo e, allo stesso modo, la raccogliamo. Possiamo essere più o meno consapevoli di questo, ma accade comunque, che lo vogliamo o no. Tuttavia, c’è una cosa preziosa che, invece, potremmo donare, offrire consapevolmente e intenzionalmente: il nostro Amore, il potente campo energetico del nostro cuore.
Quando sei nel bosco, su un prato, sulle rive di un ruscello o del mare, cammina con l’Amore nel cuore, portando la tua energia come il più bello dei doni, proprio come quando vai a casa di un amico e ti presenti con un dolce o una bottiglia di vino. Sii quel regalo, dona un brivido fatto dei fremiti della tua Anima, delle frequenze del tuo cuore al luogo in cui ti trovi.
Tu sei suono e suono è pure ciò che ti circonda. Sintonizzati sulla frequenza del bosco, delle montagne, del fiume… e canta la loro stessa canzone che è fatta di Vita e d’Amore.
Come ho già spiegato nel mio vecchio articolo Fitoterapia energetica, memoria dell’acqua e pensiero positivo, volgere questo canto amorevole a ciò che ci circonda è assai importante, soprattutto quando siamo vicino all’acqua (o immersi in essa), o quando veniamo a contatto con questo elemento e con esseri viventi che sono formati da una percentuale di acqua, come piante e animali.
Puoi benedire ciò con cui vieni in contatto sia con il pensiero che con la parola, ma se vuoi, puoi cantare davvero. Non serve che tu abbia una voce melodiosa, purché in te esista il giusto intento. Canta al fiume il tuo Amore. Sii il battito della terra, il frusciare delle foglie, il pulsare della Vita intera. Le tue benedizioni e il tuo intento daranno una scossa energetica positiva a tutto ciò che ti circonda, investendo ogni cosa. Ancora non sai quanto di tutto questo ti verrà restituito, né sotto quale forma, ma i doni che riceverai in cambio del tuo suono interiore e della tua personale voce saranno sempre colmi di stupore, gratitudine e meraviglia.
Ci sono canti e mantra che sono stati creati specificamente per questo scopo e che hanno aiutato a guarire e risanare acque particolarmente inquinate, come è stato dimostrato da diversi studi scientifici. Uno di questi, “La Grande Invocazione”, – che ti lascio qui di seguito – fu ideato per la guarigione delle acque planetarie ed è stato utilizzato per risanare le acque colpite dal recente disastro nucleare giapponese, con sensibili miglioramenti nei valori radioattivi dell’oceano.
Personalmente, sono pratiche ormai consolidate in me, le attuo spesso in Natura, per questo te ne parlo. Quando questo accade, con certi luoghi si instaura un rapporto particolare, oserei dire quasi di fiducia reciproca, poiché l’energia che vi portiamo viene riconosciuta come benefica. In quel momento è un po’ come se le cortecce degli alberi si rilassassero e le foglie sui rami non stessero sull’attenti. Ghiandaie, corvi e cornacchie, che sono le sentinelle per antonomasia del regno naturale, tacciono nonostante la nostra presenza, quasi che, per l’appunto, non vedessero in noi una minaccia. Accade, anche se quelle che ho appena elencato sono percezioni del tutto umane della realtà, sentimenti che la Natura non può provare, perché essa non possiede il nostro giudizio né il calcolo tipico delle nostre menti.
Ci sono diversi posti in cui ho sviluppato questo genere di rapporto. In essi mi piace tornare in punta di piedi, prendendomi tutto il tempo necessario. E in uno di questi, in particolare, torno per le sue acque di cui avverto la potenza e la sacralità.
Ogni passo che compio è un rituale di ricongiungimento, ogni metro percorso è un metro in meno dal torrente, dove so che sarò accolta con un intimo e segreto “Bentornata”. E pare che la Natura faccia i fuochi d’artificio ogni volta che ci torno: il sentiero è sempre differente, deviato per piccoli smottamenti, e la vegetazione sembra essere sempre diversa dalle volte precedenti, più bella, più vivida, quasi a dire “Eccoti, finalmente!”.
Ho un rapporto assai particolare con questo ruscello, il suo ponte e le sue rocce, perché il Genius Loci che li abita ormai mi riconosce e, con un linguaggio che non è fatto di parole ma di vento, scrosci, ronzii e movimento, ci intendiamo. In silenzio.
E sempre nel silenzio io dono a questo scampolo di mondo ciò che sono, e sempre mi rimanda indietro ciò che emano in modi tanto potenti e inaspettati da lasciarmi traboccante di quella meraviglia di cui sono colmi i bambini.
In questi luoghi mi rendo conto un po’ di più che non è vero che siamo (solo) esseri umani.
Siamo antenne.
Siamo stelle.
Siamo esseri divini e divine bacchette dalle grandiose potenzialità. Quando finalmente ce ne accorgiamo, il Creato esulta e noi con lui.
Qualcuno lo sta già facendo e il canto sta diventando un coro.
E tu? Lo senti?
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“Ovunque intorno a te ci sono spiriti, bambina. Vivono nella terra, nell’acqua, nel cielo. Se li ascolti, loro ti guideranno. Chiudi gli occhi e vai, il tuo cuore sa e tu capirai. Fatti trasportate come l’onda fa col mare: il tuo cuore sa e tu capirai.” (Nonna Salice, Pocahontas)
In quanto esseri umani, possediamo un corpo fisico, unito ai corpi mentale ed emozionale, che creano campi energetici intorno a noi. Ma c’è un’altra parte che ci costituisce e che tendiamo a considerare meno, la più importante: l’Anima, incarnata nel corpo e che funge da tramite tra lo Spirito e il mondo della materia.
E Anima sa ben più di te di quanto conosci di lei. Ella ha una voce apparentemente flebile, difficile da udire se non si abbattono i muri dell’eccessiva razionalità. Mi piace definire il suo modo di comunicare con la parola “canto”, proprio perché ha in sé molto di divino.
Anima canta ed esulta quando segui i suoi consigli, quando ti abbandoni e ti affidi al sentire che fa emergere nel tuo cuore con amore e saggezza infiniti. Quando ti alleni a udire il suo canto, obbedirle diviene un incredibile atto di Fede, oltre che una questione di Onore – nella sua ottava più alta.
Molte volte, infatti, Anima lancia segnali d’allarme nei riguardi di certe situazioni, ma la ignoriamo, attribuendo tali sensazioni a inutili paranoie. Talvolta, più semplicemente, non vogliamo affidarci a quella voce che sentiamo dentro di noi perché ci è scomoda: vuole portarci da tutt’altra parte rispetto alla direzione che vorremmo (o meglio, che la nostra mente e il nostro ego desidererebbero) e questo non ci piace neanche un po’. Allora facciamo il diavolo a quattro pur di ottenere ciò che ci eravamo prefissati, ma… ecco che incontriamo una difficoltà e una sofferenza dopo l’altra, e il nostro stato di angoscia cresce, quasi come se stessimo subendo la peggiore delle ingiustizie.
Non riusciamo a comprendere, a guardare oltre, ad accorgerci che Anima ci aveva messi in guardia fin da subito. Perché Lei, in fin dei conti, non vuole il nostro male, ma suggerisce alle nostre orecchie quali passi seguire per vivere la nostra vita in modo divino.
Ecco perché opporci ai suoi consigli significa calpestare la parte divina di noi stessi.
Eppure non è cosa semplice lasciarsi andare al suo volere con Fede cieca e assoluta. Non la conosciamo, e ci è stato insegnato a diffidare degli sconosciuti. E poi, diciamolo: seguire il suo volere richiede atti di coraggio non indifferenti.
Per esempio: immaginiamo che Anima ti suggerisca di non accettare una determinata proposta di lavoro che invece bramavi da tempo. O che, magari, ti dica che la casa di cui ti sei perdutamente innamorat* non vada bene per te. O ancora che la persona che ti sorride e che reputi tanto carina in verità sarebbe meglio se non la frequentassi affatto.
Nel mondo materiale in cui viviamo, dobbiamo spesso fornire spiegazioni e/o giustificazioni alle nostre azioni e non è semplice darle, quando a cantare è l’Anima. E, anche nel caso in cui non servissero spiegazioni, non sappiamo come comportarci nei confronti di quel sesto senso del tutto irrazionale che urla a squarciagola messaggi nelle nostre orecchie. Ma ad Anima non interessano le seghe mentali che ci facciamo, non le importa ciò che perderemmo secondo la nostra limitata concezione mentale della realtà. Lei è divina e il suo canto ci chiede a gran voce di essere eroi, di svestire i panni della pavidità e spogliarci di tutte quelle convinzioni che ci rendono passive vittime della vita.
Se Anima fosse un personaggio delle fiabe non sarebbe il principe azzurro o la principessa da salvare, ma la matrigna, la strega, il mago… non già per la loro (presunta) cattiveria, quanto piuttosto perché spronano l’eroe e l’eroina all’azione. Sono figure iniziatiche senza le quali i protagonisti non potrebbero mai giungere al lieto fine della loro storia, ma continuerebbero a vivere come lavandaie, sguattere, cuoche, fabbri, mugnai, stallieri… senza mai approdare all’inestimabile premio della Regalità. Ma, come in ogni storia che si rispetti, niente si ottiene senza il superamento di prove, e quelle di Anima sono spesso contrassegnate da Fede e Coraggio.
Dovremmo re-imparare a tenere più in considerazione il nostro personale “sentire”. E dico re-imparare perché sapevamo farlo in altre vite, ma anche quando eravamo piccoli. I bambini, proprio per la loro giovinezza, sono più vicini al mondo dello Spirito rispetto alla nostra raggiunta età adulta/maturità. Quante volte abbiamo visto bambini piangere solo per aver visto in faccia uno sconosciuto (ma capita anche coi familiari, qualche volta)? Quante volte ridono, invece, senza apparente motivo a un estraneo o fanno capricci perché non vogliono restare in un posto che percepiscono come ostile? Spesso tutte queste reazioni sono dettate dall’energia che avvertono in modo potente, dal divino intuito che in loro non è ancora stato soffocato da dubbi e insicurezze. Ri-tornare a quello stato di connessione è ciò su cui dovremmo lavorare per ricongiungerci alla nostra Anima, che è Santa, Sacra.
C’è poi la questione delicata che accosta il seguire l’intuito alla paura di essere derisi e del giudizio altrui. Il “sentire” è un senso potente che appartiene solo a te, nessuno ha il diritto di contestarlo e nessuno dovrebbe importi visioni diverse solo “perché si fa così”. Tutto ciò che SENTI è VERITÀ PER TE, è la TUA realtà, che è ben diversa da quella di chiunque altro. Fidati di quel sentire: non sbaglia (CON TE), non ti tradisce. È al contrario un amico fedelissimo e prezioso come pochi altri, per cui non lasciare che la mente ti induca a credere che le regole, le imposizioni, le leggi, le credenze altrui debbano essere universalmente valide per tutti, anche per te. Non lasciare che ti faccia credere di essere sbagliat*. Il tuo sentire è SACRO. Seguilo sempre come fosse la tua Stella del Nord, l’ago della bussola che punta nella direzione giusta: è infallibile, non sbaglia mai.
Per riconnetterti con il canto della tua Anima, puoi cominciare a tendere le orecchie nei riguardi delle sensazioni che ti suscitano luoghi e persone, per esempio.
I posti che visitiamo, così come la gente che incontriamo, hanno un’energia che li contraddistingue, quasi come se avessero una vera e propria firma. Fermati, datti tempo per ascoltare quell’energia, quella voce che sprigiona da ogni cosa. Impara a osservare ciò che hai intorno, ma lascia che siano gli occhi della tua Anima a posarsi su quello che ti circonda. Non lasciare che la mente si appropri del tuo sentire, lascia fluire in piena libertà ciò che hai nel cuore.
Che sensazioni ti dà il posto in cui sei? Ti senti bene o inquiet*? Resteresti lì, ferm* per ore a bagnarti di quelle vibrazioni o, al contrario, non vedi l’ora di abbandonarlo? Che storie senti sussurrare al tuo orecchio? Fidati dell’intuito, non mente.
Rimani un po’ immers* in quel sentire, sostaci, sguazzaci, datti tempo. E, una volta compreso ciò che ti trasmette, dona a quel luogo il tuo Amore. Che l’energia che senti sia ostile o amichevole, non potrai che fare del bene in ogni caso… e a un gesto di benevolenza ne segue sempre un altro. Dovrai essere attent* a coglierlo, però, perché l’Universo non ha parole umane, la sua lingua è quella semplice della Natura, di cui pure tu fai parte: una piuma, l’avvistamento di un animale, un fiore, un cinguettio, un colore, un motivetto, le parole di un passante udite per caso… sono questi i mezzi che usa per comunicare con noi. Re-imparare questo idioma antico apre a nuove, inimmaginabili dimensioni; se puoi, quindi, non precluderti la bellezza e l’abbondanza che spettano a ogni essere vivente. Scoprirai un mondo nuovo e ricco di pienezza che sarà capace di sorprenderti con effetti speciali.
La stessa cosa puoi farla in altri ambiti: come senti quell’informazione che ti viene data? Come si muove dentro di te? Cosa ti dice il tuo sentire riguardo quella pratica che in tanti osannano? Quando sei in un bosco, che percezioni hai? E potrei andare avanti all’infinito.
Potresti sorprenderti molto di ciò che salirà dal tuo cuore. È capitato spesso anche a me.
Per le mie ricerche sui culti femminili nelle zone in cui vivo e che condivido in questo spazio virtuale, mi dedico all’esplorazione dei luoghi col cuore aperto, pronta a ricevere intuizioni, e questo atteggiamento di apertura mi dà più di quanto immaginassi.
Ho incontrato alberi chiacchieroni, la cui voce non poteva essere ignorata. Li ho osservati con attenzione e solo in seguito ho scoperto che a essi era dedicato un culto o un rito.
In luoghi dimenticati e dalla storia avvolta nelle nebbie sono stata guidata da mani e richiami invisibili, invitata a scoprirne le origini con la familiarità che si riserva agli amici di vecchia data chiamati a condividere una tazza di tè. Una tessera alla volta, ecco comporsi un mosaico dalla bellezza inaspettata, così grande da togliermi il fiato. Ho pazientemente seguito il bandolo di una matassa di cui non vedevo la fine, affidandomi agli indizi seminati dal mio intuito come una scia di briciole di pane che mi ha sempre riportata a Casa. Non già quella fisica, fatta di muri, ma quella dell’Anima che tutto conosce.
E allora mi è sorto spontaneo chiedermi come abbia fatto a ignorare per così tanto tempo questa Voce meravigliosa che ognun* di noi possiede.
Siamo così soffocat* nelle nostre espressioni più naturali, che anche le esperienze che dovrebbero essere semplici come respirare sono diventate difficili, se non quasi impossibili. Siamo obbligat* a rispettare turni lavorativi massacranti, a sopprimere gli istinti, a conformarci a quello che altri hanno deciso per noi. Eppure ci sono conquiste e valori di cui possiamo riappropriarci, almeno in parte, scegliendo abitudini più sane, ritagliandoci del tempo per riscoprirci selvatici appartenenti al Tutto.
Dopo tutti gli immensi e inestimabili doni del mio Intuito, mi sorprendo ancora, ma tempo fa mi sono fatta una promessa che intendo mantenere: non rinnegare mai il Canto della mia Anima, il Sacro Sentire che emerge con tutta la bellezza della divina Afrodite dalle maree del mio cuore in un moto d’Amore.
E voi, che rapporto avete col vostro intuito?
Mel
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