Nelle valli e sui monti della mia zona il Castagno regna sovrano, ed è ancora oggi quello che mi piace definire il re della foresta.
Nell’entroterra della Liguria di Ponente se ne incontrano davvero molti, e non si può non rimanere a bocca aperta quando ci si imbatte in un albero bello, imponente e antico come il Castagno. Qui crescono spesso in mezzo alle Querce, altri alberi che amo, e i più giovani impallidiscono davanti alle forme spettacolari e scenografiche degli alberi più anziani.
Il loro tronco, infatti, è un vero capolavoro dell’architettura boschiva, non passa certo inosservato. Talvolta diventa cavo, ma non per questo si lascia sopraffare: continua a crescere con tenacia e imponenza, ospitando tra i suoi spettacolari cunicoli animali, piantine e muschi. Nelle mie passeggiate ho incontrato tronchi di Castagno dalle forme simili a cattedrali in miniatura, con tanto di archi a sesto acuto e abside traforata, dalla quale filtrava la luce dorata del sole.
E, a proposito di oro, in questa stagione è grazie al Castagno se il bosco può tingersi del colore del metallo più nobile in assoluto. Entrando nel bosco, sembra di essere catapultati nella terra di Oz e gli occhi si riempiono di tutto quel giallo: l’oro ricopre il terreno, ma forma anche una volta di foglie luminose sopra la testa.
Il Castagno è un albero dal tronco corto ma possente, con rami che si allargano in tutte le direzioni, rendendone la chioma larga e voluminosa. Per la sua possanza, veniva associato a Zeus, così come i suoi deliziosi frutti erano chiamati “ghiande di Zeus”.
Originario dell’Iran e importato in Europa dai Romani, si adatta facilmente a ogni regione del nostro continente e può raggiungere i trenta metri di altezza, i quindici di circonferenza e i mille anni di vita. Il Castagno raggiunge il suo splendore vegetativo intorno ai cinquant’anni, e fruttifica solo dopo i quindici.
Celebre esempio è il Castagno dei cento cavalli, che si trova sulle pendici dell’Etna. L’albero è chiamato così perché la leggenda vuole che nel XVI secolo Giovanna d’Aragona trovò riparo da un temporale sotto le sue fronde con tutto il suo seguito, composto da cento cavalieri con i loro rispettivi cavalli. Il tronco principale di questo famoso Castagno è bruciato nel 1923, ma l’albero appare ancora oggi gigantesco, con una circonferenza complessiva di quasi 50 metri. I botanici che lo hanno studiato sostengono che abbia più di duemila anni, forse addirittura quattromila.
Se ne trovano di secolari anche dalle mie parti. Ne è un esempio il Castagno a Costa di Carpasio, in Valle Argentina (Imperia), albero plurisecolare che rappresenta un simbolo della Resistenza. All’interno del suo accogliente tronco trovarono rifugio i partigiani feriti, che durante i rastrellamenti da parte dei nazi-fascisti non potevano essere trasportati in luoghi più sicuri. Tramite una scala a pioli, venivano calati all’interno della cavità dell’albero, che poteva contenere anche sei uomini. Dovendo rimanere nascosti anche per giorni, avevano bisogno di cibo e bevande; gli abitanti di Carpasio e Arzene, paesi vicini tra loro, si impegnavano per portare tutto quanto poteva occorrere agli uomini. Camminavano nel bosco e, raggiunto il Castagno, rimuovevano delle fascine alla sua base che celavano alla vista un piccolo passaggio, nel quale introducevano i preziosi viveri.
Sempre nei boschi della Valle Argentina c’è un altro albero imponente (foto a fianco), e si trova sul sentiero che da Loreto porta a Colle Belenda. Ho avuto la fortuna di vederlo e toccarlo con mano, non posso dirvi quanto sia bello, perché ogni parola è riduttiva. È così grande che non basterebbero cinque uomini per abbracciarlo e della chioma non si vede la fine, talmente è folta e rigogliosa. E che energia in quel luogo, quanta pace e serenità…
Fu Senofonte a definirlo l’albero del pane. In Liguria come in Piemonte e nelle zone appenniniche, il Castagno ha permesso alle popolazioni povere di sopravvivere. I frutti dell’amato albero, che ha finito per stringere un rapporto simbiotico con l’uomo, hanno un grande potere nutritivo e fornivano energia a chi doveva affrontare la dura vita dei pascoli e della campagna. Le scorte di castagne sfamavano le famiglie povere per un anno intero, tanto erano – e sono – generosi questi alberi.
Il poeta nostrano Giovanni Pascoli dedicò al Castagno una poesia per omaggiarne il legno e i frutti, che hanno scaldato e sfamato contadini e montanari per generazioni. Parafrasando Pascoli, è grazie al Castagno che nelle case di un tempo si sentiva il borbottio della pentola, che oscillava nel camino piena di castagne. Ed è sempre grazie a lui se la fiamma, sotto quello stesso paiolo, poteva crepitare e brillare, scaldando al contempo le ossa fragili e tremanti degli anziani. Il legno dell’albero, infatti, forniva calore alle abitazioni nel rigido inverno. Solo il “pio castagno”, continua il poeta, ha saputo donare molto al contadino, che non aveva altra ricchezza che il sole, e solo quest’albero poteva elargire doni ai figli poveri degli uomini di campagna. È sempre grazie al Castagno che le vacche hanno avuto un giaciglio tiepido su cui riposare e i braccianti potevano godere di un po’ d’ombra nei caldi mesi estivi.
Del Castagno, insomma, non si butta via niente. Il legno, forte e robusto, è stato usato spesso nell’edilizia per creare strutture portanti, veniva usato per fabbricare botti, mobili e accessori. Le foglie, invece, raccolte in estate, forniscono rimedio a disturbi delle vie respiratorie, come la tosse, oppure a chi soffre di diarrea, emorroidi o presenta disturbi circolatori agli arti inferiori.
Che dire, poi, dei suoi frutti, le castagne? Nutrienti e versatili, sono state usate fin dall’antichità nella nostra alimentazione, tant’è che i Romani la usavano abbondantemente, e nel Medioevo entrò a far parte della dieta grazie alla farina che se ne ricava, ma anche grazie alle sue proprietà, che la rendono sostitutiva dei legumi nelle zuppe e nelle minestre. Sempre nel periodo dei Secoli Bui i frutti del Castagno erano considerati anche cibo per i morti, al pari di ceci e fave. I marsigliesi li mettevano sotto il cuscino per impedire che i defunti tirassero i piedi al dormiente durante le ore notturne.
I piemontesi e i veneziani le consumavano nel giorno dedicato ai morti e a San Martino. I caffè e le osterie valdostani, nel giorno di Ognissanti, le offrivano ai clienti. A Ferrara, in occasione della Sagra di San Giuseppe, i ragazzi offrivano in dono alle fidanzate un giacinto – simbolo dell’imminente primavera – insieme a una frittella di castagne che simboleggiava la fine dell’inverno.
Tornando a parlare del tronco degli esemplari più vecchi, non è difficile rendersi conto di quanto possa essere utile agli animali del bosco. Come abbiamo visto, può rappresentare un ottimo rifugio, grazie alle sue cavità, ma fornisce cibo a volontà per tutte le bestiole che devono affrontare l’inverno. Dagli uccelli agli insetti, dai cinghiali ai vermi… tutti traggono beneficio dal Castagno. Nodi e cavità sono luoghi ottimi in cui nidificare, mentre le grotte naturali alle sue radici o alla base del tronco sono tane perfette per i mammiferi, soprattutto nel periodo del letargo. Gli alti rami rappresentano vere e proprie torri di vedetta per i rapaci. Infine, tutta la sua corteccia è una pelle perfetta sulla quale trascorre tutta la sua esistenza una miriade di insetti. Su di essa si compiono cicli meravigliosi di vita, morte e rinascita che noi esseri umani neppure ci sogneremmo: vi si accoppiano ragni, formiche, farfalle e altre minuscole creature, vi depongono le uova, e le loro larve ne traggono nutrimento per crescere e ricominciare lo splendido cerchio della vita.
Per tutti questi e altri motivi, il Castagno è diventato per me sinonimo di pazienza, un padre amorevole sempre pronto ad abbracciare e ad avvolgere con il suo tronco e i suoi rami gli animi inquieti e desiderosi di pace.
Muna
Fonti:
- Florario. Miti, leggende e simboli di fiori e piante, Alfredo Cattabiani.